Come ogni anno, alcuni giorni fa, gli Stati Uniti hanno celebrato il Martin Luther King Day, giornata dedicata alla memoria del pastore battista, nato il 15 gennaio 1929, leader del movimento per i diritti civili, premio Nobel per la pace. Da circa 40 anni, questa commemorazione cade il terzo lunedì del mese di gennaio, vicino cioè al giorno della sua nascita, ed è festività nazionale. Alcuni college e scuole chiudono, ma altri rimangono aperti e insegnano ai loro studenti la vita e l’opera di Martin Luther King, il cui messaggio rimane quanto mai attuale.
Mai come in questi giorni, infatti, la pace si fa urgente, necessaria, come l’acqua lo è per la terra assetata…
Pubblichiamo un articolo di suor Virginia Njau che, iniziando il suo messaggio proprio con le parole di Martin Luther King, stimola ogni educatore, a riflettere sul contributo che può dare nell’educare alla pace.

 

EDUCARE ALLA PACE: IL CARISMA EDUCATIVO VIA PRIVILEGIATA

Con questo articolo vorrei presentare brevemente lo scenario della società contemporanea marcata dalla violenza e dalla guerra, da cui consegue la sfida della pace, che in particolare la famiglia deve assumere nell’educazione dei figli. Infine, quanto la suora Orsolina, animata dal carisma educativo, dono dello Spirito, può contribuire all’educazione alla pace.

1. Una società martoriata dalla guerra
La vita è un dono sacro che nessuna persona ha il diritto di togliere ad un’altra. La Congregazione per la Dottrina della fede afferma che “nessuno può attentare alla vita di un uomo innocente senza opporsi all’amore di Dio per lui, senza violare un diritto fondamentale, inammissibile e inalienabile, senza commettere, perciò, un crimine di estrema gravità” (1980, para. 9). Analizzando però attentamente le notizie che i giornali e i mass media presentano quotidianamente, constatiamo che l’odio, la prepotenza, la violenza, i conflitti e la guerra sono ormai all’ordine del giorno. Uccidere una persona è diventato quasi una cosa normale. La cronaca televisiva è occupata per lo più da servizi che trattano di violenza e di uccisioni. Ogni giorno si assiste a reportage di guerra in cui perdono la vita numerose vittime per mano di potenti e di arroganti. Tutto questo è già un indice chiaro che qualcosa nella società odierna non funziona.
Per comprendere meglio la realtà della società contemporanea, va accennato che secondo i dati riportati dalla Ong, Armed conflict location & event data project (Acledd), al marzo 2022, a livello mondiale si possono contare cinquantanove Paesi in guerra, anche se in questi ultimi tempi si sta focalizzando l’attenzione principalmente sulla guerra tra Russia e Ucraina, forse perché questo conflitto sta sconvolgendo l’Europa, il vecchio continente che credeva di aver conquistato la pace e dimenticato gli orrori della belligeranza. La realtà della guerra che sembrava molto lontana per gli europei, si è avvicinata di nuovo fino a sentirla quasi dentro casa. Ciò è ancora più vero per la Congregazione delle Suore Orsoline, che dal novembre del 2020 vive in prima linea le barbarie della guerra civile in terra d’Etiopia e soprusi da parte del governo in Eritrea. Come molti fratelli, vittime della violenza in diverse nazioni, anche le suore di questi due paesi subiscono da mesi la grande sofferenza fisica e psicologica causata dagli scontri bellici. Alcune di loro in Etiopia hanno vissuto la prigionia; le comunità di Eritrea hanno visto le loro scuole e cliniche confiscate, soffrono la fame, la paura, l’incertezza del futuro.
La guerra non si scatena improvvisamente, ma è frutto di un susseguirsi di offese, di conflitti, di rivalità, di verità velate, di giustizia negata, di una bramosia di potere. “Non bisogna abituarsi alla guerra” afferma Papa Francesco e nessuna persona deve restare indifferente di fronte ad essa, sennò, attraverso il silenzio e il disinteresse, si finisce per diventarne complici. Ecco allora perché ogni persona è chiamata a far la sua parte nel coltivare e nel promuove una società dove regnino la pace, la fraternità e dove gli uomini, al di là delle loro differenze, si considerino fratelli.
Vorrei rivolgere un appello, cominciando da me, ad ogni Orsolina: il grido delle vittime della guerra, che invocano la pace, non può lasciarci tranquille. Anzitutto per la nostra stessa natura di donne generatrici di vita e poi per la missione educativa a cui siamo chiamate con la consacrazione a Dio, che ci rende un cuore che soffre e che offre a Gesù Sposo la sorte dell’umanità. L’articolo è indirizzato inoltre, a tutti i collaboratori delle Orsoline, che condividono la loro professione e il loro servizio educativo con noi suore, perché abbiano la possibilità di ripensare un futuro di pace, ponendosi
domande concrete su cosa fare, ciascuno nel proprio piccolo, per creare un ambiente permeato dalla cultura della pace. Gli educatori di ogni tempo e nazione hanno la “fortuna” e la responsabilità di avere “tra le mani” la sorte della società che desiderano costruire, mediante la formazione dei bambini e dei ragazzi loro affidati. Ragazzi che saranno i cittadini, i politici, i presidenti, i ministri… del domani. Gli educatori quindi, possono contribuire attivamente alla maturazione dei giovani affinché diventino operatori di pace, incominciando dall’educazione alla pace nelle piccole realtà quotidiane, che si estenderà poi nelle scelte del futuro. Il processo educativo per sua natura è lento e i risultati non sono mai immediati, ma sono duraturi. Ci vuole la pazienza e il coraggio di seminare il buon seme nella vita dei giovani senza stancarsi.
Come dunque, le prime sorelle seppero contestualizzare il carisma educativo in base ai bisogni urgenti del loro periodo storico e locale, così l’Orsolina di oggi deve ripensare ed adeguare il proprio servizio educativo secondo le necessità del suo tempo, in un mondo caratterizzato dalla guerra e dal bisogno di pace.

(Per leggere tutto l’articolo clicca qui di seguito: Educare alla pace).